Gli animali come non li hai mai visti: a Moscheta il concorso di fototrappolaggio
FIRENZUOLA – Sabato 3 settembre si tiene alla Badia di Moscheta, per l’intera giornata, la seconda edizione del Concorso nazionale di fototrappolaggio. Gli organizzatori di questo appuntamento dedicato a una forma particolare e interessantissima di fotografia naturalistica in questa nota spiegano che cos’è il foto (e video) trappolaggio, e la sua crescente importanza scientifica.
All’inizio era solo un gioco. Vecchie macchine fotografiche compatte, o anche costose reflex, il cui pulsante di scatto veniva fatto attivare dall’animale che si desiderava fotografare. E per fare questo si usavano i sistemi più ingegnosi: dal filo da pesca teso, che attraversava il sentiero, alla pedana su cui si sperava che l’animale mettesse il proprio piede, all’esca attaccata ad un filo che a sua volta era legato al pulsante di scatto. Un “selphie ante litteram” pensato per i selvatici, da moderni Davy Crockett o da ricercatori che dopo anni di studi e di frustrazioni, volevano finalmente vedere negli occhi l’animale oggetto delle loro annose ricerche.
Poi è arrivata la tecnologia e qualcuno ha pensato di usare i sensori da allarme, quelli da abitazione per intenderci, per fare quello che faceva in maniera improbabile il filo da pesca. Attivare lo scatto nel momento esatto del passaggio davanti all’obiettivo. E così sono arrivate le prime belle foto di animali selvatici, gli animali più difficili da riprendere a distanza ravvicinata, come le tigri indiane riprese da Karranth o i rarissimi Leopardi delle nevi e per l’Italia le nostre specie più carismatiche, i primi lupi fotografati da Duccio Berzi e gli ultimi orsi trentini, per intendersi quelli che abitavano nel Brenta prima che venissero rinsanguati con gli orsi sloveni, ripresi da Claudio Groff.
Era la fine degli anni ’90 e da allora il progresso è stato continuo, e come è successo nel campo fotografico tradizionale, il “rullino” aveva le ore contate. Inesorabilmente anche questo settore è stato “travolto” dal digitale, che ha permesso di avere strumenti che andavano oltre il limite dei 36 vecchi fotogrammi assicurati dalla pellicola. Potevano fare filmati come foto, e mostrare subito il risultato. Dapprima costosi e ingombranti, poi, con l’arrivo dei cinesi, sempre più alla portata di tutti.
Da allora è stato un crescere continuo, sia in termini di potenzialità degli strumenti (ad esempio oggi le video/foto trappole inviano i filmati e le foto direttamente sul cellulare) che di diffusione e potenzialità d’uso.
Il mondo scientifico, dapprima scettico su questo passatempo da collezionisti d’immagine, ha capito che molte delle specie più elusive potevano essere studiate usando questi strumenti. Attraverso questi è stato quindi possibile capire che il mitico gatto selvatico, fino ad allora poco più di una leggenda per i boschi dell’Italia centrosettentrionale, aveva una diffusione ben più ampia di quanto conosciuto e aveva anche qualche problemuccio d’ibridazione con il gatto domestico. Ricercatori italiani hanno fatto scoperte straordinarie in angoli remoti del pianeta; tra questi Francesco Rovero, giovane ricercatore fiorentino che ha scoperto una nuova specie di mammifero, il Rhynchocyon udzungwensis, nome volgare toporagno elefante dalla testa grigia, endemismo delle foreste più segrete della Tanzania centromeridionale.
Ma non solo, la diffusione di questi strumenti, sempre più piccoli, economici e prestanti, ha riguardato anche il mondo venatorio, che ha imparato ad usarli per capire meglio abitudini e orari delle specie cacciabili, e individuare le aree più promettenti per le uscite.
Appuntamento dunque a Moscheta, sabato 3, per un concorso al quale hanno partecipato numerosi fotografi, da tutta Italia.
© Il Filo – Idee e Notizie dal Mugello – 2 settembre 2016